Non è mai facile fare previsioni, o meglio, confrontarsi sul futuro prossimo. Lo è men che meno quando parliamo di un ecosistema liquidi e mutevole come quello digitale. Rifletterci è però d’obbligo per i marketer, spinti dalla necessità di comprendere i cambiamenti del settore prima che questi segnino negativamente le strategie messe in atto. Adattarsi resta infatti una delle migliori skills possibili, una delle poche in grado di permetterci di affrontare senza rischi i tanti scossoni che arrivano.
Un influencer marketing senza like?
Scossoni come quelli avvenuti nelle ultime settimane e che hanno generato più di un dibattito. Parlo ovviamente del test da parte di Instagram che ha portato molti utenti a non avere più visibili i like sotto i diversi post. Un esperimento volto, secondo Instagram, a rivalutare la qualità dei contenuti a discapito della riprova sociale. Un peso, quello relativo ai risultati dei post, che pare essere divenuto un freno all’utilizzo di molti utenti.
Una news che ha sollevato più di una preoccupazione tra influencer (o pseudo tali), agenzie e professionisti, certi che questo passo possa essere la fine dell’economia degli influencer. Certo, senza il kpi principe delle vanity metrics che senso possono avere le campagne di Influencer Marketing? Una preoccupazione lecita sì, ma che mi lascia più di un dubbio. Credo infatti che il problema si ponga solo per chi ha vissuto e sfruttato la bolla degli influencer, senza mai avere un approccio diverso, più orientato alla qualità dei progetti realizzati che ai like prodotti. Un modus operandi complesso per molti, perché necessita un cambio radicale di prospettiva, rifuggendo la superficie e andando maggiormente in profondità nelle analisi e, soprattutto, nella valutazione dei progetti realizzati.
Tralasciando che anche le vanity metrcis non sono tutte uguali (un commento avrà sempre più peso di un semplice like, soprattutto quando on topic), l’elemento essenziale è spostare il focus su analisi più complete, realmente aderenti all’impatto prodotto e al ROI generato lato brand. Analisi delle conversazioni online, topic trattati, lead, conversioni: sono questi i parametri che ci permettono di valutare nella corretta maniera una campagna e, in particolare, di legarla ad obiettivi di ben altro valore per il brand rispetto alla sola awareness o all’engagement rate (distrutto a dovere in questo ottimo post di Vincos).
Cosa manca perché tutto ciò avvenga? Volontà e consapevolezza, anche lato brand.
L’influencer marketing degli estremi
Altra news interessante è il report proposto da InfluencerDB sul “livellamento” dell’engagement dei profili Instagram, influencer compresi. Secondo l’analisi l’engagement rate per i post sponsorizzati ed organici stanno toccando record negativi storici: si è passati da un 4.5% al 1.9%. Nessuna esclusione, il trend tocca tutti i settori e i topic, con particolare forza beauty, fashion, food, lifestyle, fitness e travel.
Un dato che non stupisce troppo gli addetti ai lavori, ma che porta ad importanti riflessione lato influencer marketing, una su tutte. Come scrivevo in un post Facebook appena visto il report, è assai probabile che andremo sempre di più verso gli “estremi”: da una parte i top influencer con audience e kpi quantitativi di alto valore, dall’altra i nano/micro-influencer, economici e considerati per lo più maggiormente credibili. In questo livellamento di performance sono le fasce di creator “centrali” ad essere penalizzate, non offrendo più un rapporto costo/risultato adeguato. Soprattutto alla luce di richieste economiche spesso “eccessive” (sia chiaro, non da parte di tutti!), richieste che portano a ripensare l’investimento sui top, visto che in molti casi la differenza non è così proibitiva.
Una polarizzazione che porta ad un netto ripensamento delle campagne, dal concept sino alla gestione, e che molto probabilmente porterà a progetti più complessi (almeno se si vogliono avere risultati). Credo che ancora di più sarà necessaria la sinergia tra le diverse tipologie di creator, generando così attività che portino con sé diversi valori: notorietà, audience, trust, know-how. Una via complessa certo per molti, ma senza dubbio utile a far diventare l’influencer marketing non più solo un trend, ma uno strumento strategico.