Come ogni anno con ONIM, l’Ossservatorio Nazionale Influencer Marketing, andiamo a scattare un’istantanea del mercato italiano dell’influencer marketing grazie al report Brand & Marketer. 482 professionisti intervistati tramite un survey dedicato per capire utilizzo, caratteristiche e trend relativi all’IM nel nostro paese. Un passo, dati alla mano, utile a migliorare comprensione e, speriamo, utilizzo di creator e influencer nelle attività aziendali.
Non vi racconterò tutto il report, per i diversi dettagli vi rimando alla news sul sito ONIM dove potrete anche scaricare la versione free del report. Preferisco focalizzarmi su un paio degli insight emersi, quelli a mio avviso degni di maggiore attenzione (e commento).
Influencer sempre più strategici e trasversali
Che l’IM sia sempre più diffuso e parte centrale delle attività dei brand non è certo un segreto, ma il report ci conferma che tale centralità è più rilevante del previsto. Il 37,3% degli intervistati dichiara di aver realizzato nei 12 mesi oltre 10 progetti con creator e influencer. Semplificando significa una media di quasi un’attivazione al mese, dato a pensarci bene, più esplicativo di qualsiasi hype.
L’IM non è più quella parte di brand activation da dare in pasto alle pr o rendere più appealing il brand, ma una parte centrale delle strategie a medio-lungo termine in una modalità quasi always on o una costante declinazione di ogni campagna.
Una considerazione che ribalta completamente l’approccio di molti in questi anni, portandoci a dover riflettere in modo più strategico o, meglio, più interconnesso, non trattando questo tipo di attivazioni come isole. Una buona campagna non produce più soltanto performance, ma riesce a dialogare e darsi reciproco supporto con tutte le altre attività in campo, dalla lead, alla comunicazione sui social, arrivando persino offline. Corollario a tutto ciò sono i budget sempre più cospicui destinati all’IM, budget che per 53% degli intervistati nel report ONIM cresceranno.
Per fare questo, per rendere strategico l’IM, serve però un cambio di pelle anche lato progettualità. Maggior creatività, maggior conoscenza di formati e trend social (adv compresa) e la consapevolezza di non accontentarsi più di utilizzare gli influencer come soli earned media, ma come base concreta per attività più complesse (e appunto trasversali) come i branded content (utilizzati dal 54,2% degli intervistati).
Non a caso le collaborazioni tra brand e influencer tendono a crescere in termini temporali, andando oltre la solita attivazione one shot.
Molto più che nuovi canali
Un’altra riflessione che non posso non fare guardando i risultati del report è che rispetto a ciò che avviene per altri “strumenti”, nell’IM canali come Twitch e TikTok non sono “nuovi”, ma certezze consolidate. Sì perché accanto al dominio di Instagram (canale di riferimento per più del 90%) queste due piattaforme registrano dati che confermano la loro centralità.
Una rilevanza data sì da possibilità offerte, focus su particolari cluster di utenti, performance, ma soprattutto dalla difficoltà dei brand ad approcciare questi canali, molto diversi rispetto a ciò a cui le aziende erano abituate.
Ne nascono timori ma ancor di più emergono le complessità di attivare una strategia owned. Creare un account di brand, un piano editoriale e contenuti in stile TikTok non è infatti cosa facile, così come dar vita a live Twitch gestite da brand. Difficoltà che non nascondono però le opportunità di questi canali e la voglia di sfruttarle.
Come fare allora? La risposta sta proprio nei creator e nelle attività di IM. Utilizzare questi ultimi permette di esserci ma non direttamente, permette di avere contenuti idonei e performanti, permette di testare le piattaforme limitando i possibili rischi.
Misurare non è per tutti
Misurare è una costante nelle attività digital (o almeno dovrebbe esserlo), ancor di più quando i budget affidati sono rilevanti. Stando a questa issue dovrebbe essere molto attenzionata lato influencer marketing, ma così non pare.
Il report ONIM conferma una sensazione diffusa, la mancanza di focus e approccio sulla misurazione, o meglio, su un livello più deep di monitoraggio, utile a far emergere meglio l’impatto generato dalle campagne. Cresce la consapevolezza su molti aspetti (selezione data-driven in primis), ma non sulla misurazione.
Non a caso i KPI più utilizzati in sede di valutazione sono l’audience raggiunta e le interazioni generate. Parametri certo da considerare, ma forse non abbastanza per una corretta comprensione dell’andamento di campagna.
Poco utilizzati sistemi più complessi e “totalizzanti” come l’analisi delle conversazioni online, sistemi utili ad acquisire valutazione qualitative o, ad esempio, l’incremento delle vendite. Una limitata adozione dovuta spesso a mancanza di know-how e strumenti idonei, ma in molti casi a non esserci è proprio la volontà di fare un passo in più.
La stessa audience raggiunta o l’engagement generato, per esempio, possono avere livelli diversi di lettura: della audience raggiunta possiamo oggi (come facciamo in Openbox) valutare le caratteristiche (demografia, età, interessi) così come possiamo fare per chi ha interagito con i contenuti di campagna. Oppure, sempre parlando di interazione, possiamo fare valutazioni più qualitative, come valutare il peso dell’interazione (un like non è certo un commento) oppure, restando sui commenti, il sentiment o il loro essere o meno on topic.
L’advertising può accompagnare solo
Lo dico da tempo, ma i dati del report confermano la mia intuizione ed esperienza sul campo: IM e advertising sono sempre di più facce della stessa medaglia (oltre il 60% degli intervistati lo utilizza da spesso a sempre). Un po’ per bilanciare i cali della visibilità organica dei principali social (anche di TikTok), un po’ per massimizzare gli alti investimenti di campagna e infine per sfruttare in modo adeguato alcune potenzialità messe a disposizione dalle piattaforme, soprattutto TikTok (es. Branded Hashtag Challenge).
Un binomio che costringe ad integrare nuove competenze nei team dedicati all’IM e a fare ragionamenti profondi in fase di strutturazione di campagne e concept. Ad esempio non tutti i formati sono sponsorizzabili, fatto che in quest’ottica non può non essere valutato.