Un errore comune quando si lavora sul proprio personal branding o nella costruzione della presenza online di un brand è di focalizzarsi troppo sull’audience, in particolare sulle sue dimensioni. Certo, un seguito ampio non è affatto un male, ma non rappresenta come molti (troppi) pensano l’unica condizione capace di garantirci performance adeguate.
Anche perché non tutti i follower sono uguali, così come le azioni che questi fanno in riferimento a noi o ai nostri contenuti.
Follower e condivisione
Il reale valore aggiunto di chi ci segue si concretizza quando interagisce con i nostri contenuti. In particolare l’atto della condivisione acquista una valenza rilevante, perché capace di dare diffusione ed eco a ciò che pubblichiamo. Una maggiore visibilità, ben più qualitativa rispetto a quella prodotta dall’advertising perché arricchita dalla credibilità e soprattutto dalla spontaneità insita nel gesto dell’utente. Un post di un utente è una riprova sociale molto forte, perché crea advocacy, aggiungendo trust proveniente da una figura fortemente affine a chi legge. Non ci sono secondi fini, ma solo la volontà di essere utili.
C’è poco da dire, le persone tendono e tenderanno sempre più a fidarsi di altre persone.
La condivisione ha inoltre il grande pregio di migliorare la comprensione: secondo uno studio del New York Times, l’85% delle persone che condividono contenuti dicono di capire meglio la persona o l’organizzazione che l’ha creata. Una semplice questione di fiducia, nulla di più.
L’alpha audience
Per questo, la condivisione è alla base del successo dei contenuti e della capacità degli utenti di acquisire una posizione di riferimento in un network. È perciò indispensabile identificare quel gruppo di utenti che condividono più assiduamente ciò che pubblichiamo.
Mark W. Schaefer la chiama Alpha Audience questa piccola schiera di “fedelissimi”, un gruppo che spesso arriva a meno del 2% dell’intero seguito che abbiamo sui social. Una percentuale minima, che racchiude però un potenziale enorme e che acquisisce un ruolo determinante nel nostro successo.
L’Alpha Audience va intercettata e coltivata, perché sono i nostri primi e più importanti supporter, mettendo la faccia e la credibilità su ciò che noi pubblichiamo e diventando vie primarie per raggiungere, in modo qualitativo, nuovi gruppi di persone. Un concetto che, in parte, ricalca l’idea dei connectors proposta da Malcom Gladwell nel suo The Tipping Point, persone che hanno funzione di raccordo tra network sociali differenti. Sono un vero e proprio collante sociale capace di favorire la diffusione delle informazioni.
La nostra Alpha Audience non è assicurata, bisogna lavorare in modo relazionale per conquistarla, ampliarla e, soprattutto mantenerla. Ascoltiamo questi utenti, confrontiamoci con loro e valorizziamo il rapporto di fiducia che c’è. Sarà un investimento ampiamente ripagato.