Se c’è una cosa chiara da tempo per chi come me si occupa di comunicazione, ed in particolare di contenuti, è che il tema e la qualità di quanto prodotto sia il reale valore aggiunto da proporre all’utente. Ovvio no, è il cosa raccontiamo e generare interesse, sempre e solo il cosa a soddisfare le esigenze (informazione, istruzione, svago) del lettore.
D’altro canto se così non fosse si perderebbero gran parte degli elementi che sorreggono un post, sia questo di un blog o social, facendone semplicemente uno dei numerosi post senza senso che invadono il web. L’uomo come diceva A. Miller nel 1983 è un animale informivoro che brama il contenuto e che si spinge alla sua ricerca. Informarsi significa accrescere le proprie competenze, crescere e migliorare conseguentemente le proprie condizioni di vita.
Ovvio quindi che sia spinto verso luoghi, fisici o virtuali, dove poter trovare facilmente le informazioni che cerca. Queste oasi (dette anche patch) racchiudono contenuti di qualità, capaci di rispondere alle esigenze dell’utente, semplificando notevolmente la fase di ricerca.
Il ruolo degli influencer
È qui che diventa fondamentale il CHI. L’autore con la credibilità e l’autorevolezza conquistata assume un ruolo primario, facendosi garante del cosa proposta, dando così una sorta di sicurezza ai contenuti proposti. Un modo per l’utente di essere certo di quanto letto, ma soprattutto per domare e scremare la miriade d’informazioni che ormai inondano il web. Tutto ciò assume un senso solo quando chi scrive è riuscito a diventare un riferimento per chi lo segue, quando la sua reputazione dà certezze.
Chi meglio di un influencer può fare questo?
Un processo che sta lentamente evolvendo, andando oltre i canoni a cui eravamo abituati. Stiamo infatti assistendo sempre più spesso ad un vero ribaltamento dei ruoli, con l’autore, il chi appunto, che non diventa solo garanzia del contenuto, ma prima nota distintiva, andando così a prendere il ruolo primario che spettava al contenuto. Oggigiorno sono molti i casi in cui a fare la differenza è chi scrive, l’influencer che seguiamo, al di là che quanto proponga sia più o meno di qualità. Seguiamo Favij nonostante ciò che pubblica, ed anzi, in molti casi questo diviene interessante e imperdibile proprio perché proviene da lui.
Un passaggio epocale che sposta l’attenzione dell’utente in una direzione fin qui inesplorata e che può portare a conseguenze particolari. Un passaggio che se non gestito correttamente può portare ad un repentino calo della qualità e dell’oggettività di quanto trova visibilità online.
La long tail nell’influencer marketing – di Alessio Sorrentino.
Chris Anderson nel 2004 ha coniato il termine Long Tail, che in ottica di prodotti e mercati mainstream sposta l’attenzione dal basso numero di “hit” (i prodotti più venduti) in testa alla curva di domanda, verso il largo numero di nicchie sulla coda del mercato. L’abbassamento di costi di realizzo e trasporto permettono di estrarre valore non più solo tramite un prodotto unico “che vada bene per tutti”, ma con più produzioni di nicchia che estraggono anche più valore. Compagnie come Amazon hanno il loro business model (ed il loro guadagno) basato proprio su questa possibilità di differenziazione.
Il ribaltamento delle dinamiche di mercato portate dal digitale, hanno implicato un completo ricalcolo nel processo di acquisto e CTA. Lo stesso impulso nell’acquisto si rimodula verso impulso alla ricerca di informazioni. Non più lo vedo-mi piace-lo prendo ma lo vedo-mi informo-comparo-se mi piace ancora lo prendo. Anche perché se si parla di acquisto digitale, la dimensione fisica che ovviamente manca, viene sempre più spesso ricercata nelle fonti dell’informazione sul prodotto.
Per questo, la percezione di realtà nell’e-commerce è oggi affidata agli influencer. Sono loro che spesso guidano l’acquisto per chi non ha chiaramente a disposizione il commesso, l’amico o lo specialista. Tale legittimazione è del tutto coerente con l’ambiente in cui l’esperienza si svolge, ossia il web.
Lo stesso percorso di influenza sta in un certo senso mutando per prendere le sembianze di quella che è la domanda nella Long Tail di Anderson. A fianco o al posto del sito informatore “hit” del settore, sempre più spesso vi si affianca o sostituisce l’opinione ricercata dell’influencer “di fiducia” in quel campo. E questo non tanto, o almeno non solo, per il contenuto tecnico che è capace di trasmettere, quanto per l’engagement che l’influencer con la sua espressività, il suo punto di vista, il suo essere, è riuscito a creare attorno la sua figura.
Molti soggetti danno questo esempio, come tra gli altri Andrea Galeazzi. Inizia nel 2006 a fare recensioni video per passione su telefonino.net, passa poi ad HDblog qualche anno dopo (col sito che, anche grazie alla sua base di “fedeli”, aumenta da 1,8 a 5 milioni di visitatori) e nel 2015 lascia tutto per creare un suo blog con contenuti personali. Questo senza venir meno alla sua posizione di consigliere per i nostri acquisti tech, ma dando a chi lo segue ancor più di lui.
La percezione dell’influenza è quindi determinata oltre che dal contenuto anche dal contesto. Le relazioni interpersonali oggi sfruttano appieno il web, al quale si chiede sempre più un coinvolgimento reale. E questo avviene con tutte quelle figure di cui, oltre che la bravura tecnica, conosciamo l’immagine, la voce e magari i gusti, proprio come in un rapporto vis-à-vis.
Sono sempre più gli influencer che si adoperano per conversare con chi li segue oltre che informare. Il trend crescente di chi espone e si espone sul web, ci permette più facilmente di trovare un influencer vicino come pensiero e prospettiva, senza il bisogno di affidarci ad una fonte unica “che vada bene per tutti”. La peculiarità e l’estrema segmentazione del target sono sempre più diktat di un influencer marketing che punti al valore delle nicchie, ora più che mai centro della comunicazione.
Conclusioni
Un influencer non fa primavera, ma può certamente fare contenuto. Un binomio quello autore/contenuto che deve trovare il giusto mix per dare risultati, garantendo il giusto spazio ad entrambi gli elementi. Perché se è vero che il contenuto, il cosa, è innegabilmente una priorità per chi legge lo è altrettanto che le qualità che ci mette chi scrive diventa spesso un plus, differenziandolo dalla massa.
Un binomio inscindibile che vive a stretto filo: non può esistere nessun contenuto senza un autore e viceversa… non dimentichiamolo mai. Questione tanto attuale e rilevante da avere impatto sul processo informativo degli utenti e conseguentemente, attraverso lo zero moment of thruth, sulle abitudini e le decisioni di acquisto.
Un impatto lato business che deve, gioco forza, sempre più tenuto sotto controllo e su cui anche i brand dovranno cominciare a ragionare.