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Scritto ascoltando: Prince – Purple Rain
Oggi lo posso proprio dire: sono una persona fortunata. Grazie a questa rubrica, due parole con, ho la infatti la possibilità di ospitare il meglio della comunicazione digitale italiana. Amici e professionisti che sono da sempre modello e con cui confrontarsi e crescere.
Non poteva essere differente questa volta, anzi, a dire il vero tocco una delle più importanti vette. Esagerando? Affatto! Non capita tutti i giorni di poter intervistare un personaggio del calibro di Raffaele Gaito, uno dei più noti volti del mondo web e social. Non credo serva infatti dire di più su di lui, il suo curriculum e i tanti progetti che lo hanno visto impegnato parlano per lui.
Ciao Matteo e grazie a te per l’intervista!
La domanda sul lavoro è sempre difficile da rispondere, almeno per chi si aspetta una risposta “classica”. La verità è che faccio tante cose!
Mi definisco Imprenditore Digitale, Blogger e Public Speaker perché sono le tre macro categorie nelle quali opero.
Ho avviato diverse aziende nel mondo del digitale, scrivo su diversi blog di tematiche legate al mondo startup, del lavoro, dell’influencer marketing, ecc.
Negli ultimi tempi faccio molta consulenza e formazione alle aziende su diverse tematiche del digitale: dal business al prodotto, passando per il growth hacking, i contenuti e gli influencer.
Qualche settimana fa, durante un evento, un ragazzo mi chiese “Quanti follower ci vogliono per fare l’influencer?”. Lì ho capito che la cosa stava sfuggendo di mano e che all’esterno viene percepita molto male.
Se si pensa a Favij e PewDiePie subito ci si immagina l’influencer come qualcuno che tira su diversi milioni all’anno facendo recensioni ed eventi.
Questi sono dei casi molto estremi che, purtroppo, rendono più difficile far capire cosa è veramente un influencer, sia agli utenti che alle aziende.
Per me si tratta semplicemente di una persona che nella sua nicchia (piccola o grande che sia) è autorevole ossia qualcuno la cui opinione è tenuta in forte considerazione dagli altri. Stop.
Come vedi non l’ho legato per forza al marketing o alle vendite. Quella è solo una delle tante sfaccettature della questione.
Potrei darti mille definizioni politicamente corrette, prese da libri di esperti e di guru, ma non lo farò.
Perché le aziende dovrebbero affidarsi all’Influencer Marketing? Perché funziona! Perché con budget minori si ottengono risultati maggiori. Perché il ROI è incredibile.
Questo non sono io a dirlo ma tutte le ultime ricerche del settore: da quella di Burst Media che parla di 6,85$ per 1$ investito a quella di Tomoson che parla di 6,50$ per 1$ investito. I numeri sono semplicemente incredibili.
La questione è molto complessa ed è difficile dare una risposta definitiva sull’argomento senza entrare nei casi specifici.
Non ci dobbiamo scandalizzare se una persona ci consiglia un prodotto piuttosto che un altro solo perché è stato pagato. Dinamiche di questo tipo ci sono sempre state. Anche offline. Da ben prima che diventasse cool la parola influencer.
Secondo me la chiave di tutto è la fiducia.
L’intero sistema si bassa su un rapporto di fiducia tra tre attori: l’azienda, l’influencer e l’utente finale.
Se viene a mancare questa fiducia si perde il senso dell’influencer marketing.
E sia chiaro, per “fiducia” non intendo dire che se mi regali un libro per farmelo recensire comunicherò ai miei lettori che il libro mi è stato regalato. Intendo dire che scriverò la recensione se e solo se il libro mi è piaciuto, se credo che possa generare valore per i miei lettori e se fossi disposto ad acquistarlo io in prima persona.
Bayer ha scoperto l’acqua calda 🙂
Scherzi a parte, i social sono fatti di persone e di relazioni, non dimentichiamocelo mai quando ci riempiamo la bocca di termini in inglese come “marketing”, “influencer”, “ROI”, ecc.
Se non si genera valore (sia lato azienda che lato influencer) come si può pensare di essere seguiti e di ricevere attenzione e fiducia?
Il lato qualitativo è fondamentale!
Spesso è difficile farlo capire alle aziende che guardando solo al numero dei follower ti dicono “voglio tizio perché è seguito da 200.000 persone su twitter”.
Prima di fare una scelta del genere ci si dovrebbe chiedere “ma tizio come comunica?”, “tizio è nella mia nicchia di interesse?”, “come reagisce la gente quando tizio parla di qualcosa?”, “tizio è disposto a parlare di qualsiasi brand o fa selezione?” e così via.
Lo stesso discorso, ovviamente, vale nel rapporto tra l’influencer e il suo pubblico.
- Pianificare tutto! Spesso si pensa che fare una campagna di Influencer Marketing significhi demandare tutta la responsabilità a qualcun altro. È sbagliatissimo. Bisogna pianificare bene la campagna e decidere fin dall’inizio quali obiettivi si vogliono raggiungere.
- Monitorare tutto! Su questo punto ti rispondo nella domanda successiva.
- Fare attenzione a cosa si chiede! Troppo spesso, prese dall’entusiasmo, le aziende fanno proposte tipo “Facciamogli fare 25 tweet al giorno con il nostro hashtag”, senza capire che è un comportamento non naturale e che sarebbe più controproducente che altro.
- Ascoltare gli influencer. Collegandomi al punto 3, una delle cose migliori da fare è ascoltare le proposte di chi ha già avuto a che fare con campagne di questo tipo. Solo loro sanno veramente cosa piace al loro pubblico e come comunicare con esso.
Ancora una volta: gli influencer sono delle persone, non dimentichiamolo. Non si deve pensare a dei rubinetti da aprire solo quando si ha sete 😉
Il monitoraggio è fondamentale e, come diceva Emanuela Zaccone in un recente webinar, è impensabile voler monitorare solo alla fine. Si deve tenere sotto controllo la campagna durante tutto il suo svolgimento. Solo così si potrà capire se è il caso di intervenire, se bisogna apportare delle modifiche, se è meglio fermarsi, ecc.
Anche per gli strumenti la risposta è: dipende. Dipende dal tipo di campagna e dagli obiettivi che ci si è posti. Ormai sul mercato ci sono analytics potentissimi di ogni tipo che permettono di tenere traccia qualsiasi cosa.