Le risorse interne sono una delle voci più credibili e competenti per promuovere il brand, i suoi prodotti, ma soprattutto la cultura aziendale. Una leva che può dare risultati importanti non solo a livello di comunicazione, ma soprattutto di partecipazione e mezzo per attrarre talenti.

Una recente ricerca promossa da LinkedIn racconta come un programma strutturato in cui 1.000 dipendenti promuovono l’azienda e i suoi contenuti può generare 1.9 milioni di Dollari in earned media. Un risultato rilevante che aiuta a far capire meglio il valore che le risorse interne possono avere nella comunicazione aziendale e nella sua valorizzazione.

Si parte sempre da ciò che si ha, e le risorse interne rappresentano un ottimo punto di partenza: visibilità, engagement, trust, competenze sono solo alcuni dei plus che possono dare alla comunicazione del brand. Ma andiamo per ordine.

Cos’è l’employee advocacy

L’Employee Advocacy è un termine che è profondamente cambiato e che ha acquisito un significato più profondo dall’arrivo dei social network. Volendo semplificare si tratta di far intervenire direttamente i dipendenti nella diffusione dei contenuti legati al brand (o al suo settore), condividendoli nei profili social personali. L’obiettivo è favorire il passaparola positivo (e competenziale) e rafforzare il marchio.

Il tutto in modo (o almeno dovrebbe essere) spontaneo e imparziale: i dipendenti devono condividere la loro esperienza come lavoratori e parte integrante dell’azienda. Una riprova sociale che viene direttamente da chi il brand non solo lo vive, ma ne fa parte e lo rende quello che è. Perché se è vero che la percezione esterna può anche essere diversa dalla realtà, lavorando su leve comunicative e creatività, lo è altrettanto che i lavoratori ne esprimono l’essenza più vera (e credibile).

E se queste “voci” differiscono tende a notarsi e creare problemi seri: inutile fare il tanto nominato storytelling per raccontarsi come realtà inclusiva se poi le nostre risorse esprimono, anche cona il silenzio, ben altro messaggio.

Come fare emploee advocacy

Mettendo al centro dell’attenzione l’interno di una realtà e agendo sulla reputazione bisogna stare molto attenti quando si decide di attivare un progetto di employee advocacy. Dobbiamo guardarci dentro nel vero senso della parola e capire se siamo realmente pronti per un attività del genere: capire la corrispondenza tra i valori dei dipendenti, la cultura aziendale e le condizioni di lavoro, per avere certezza di essere pronti. Se così non fosse la priorità è “sistemare” le cose, andando a lavorare sulla comunicazione interna per risolvere al meglio queste discrepanze.

Non farlo significa rischiare che emergano, in modo netto e pubblico, poi. Dobbiamo quindi essere un luogo e un’entità con cui si voglia realmente lavorare, talmente tanto da metterci con fierezza e convinzione la faccia. Quando i componenti di un team si sentono valorizzati, motivati sono più inclini a comunicare la propria esperienza positiva. Un percorso che deve lavorare sulla spontaneità e senza imposizioni.

Il passo poi è attivare progetti specifici di engagement a cui far seguire progetti verticali e, dato che parliamo di social, corsi di formazione per poterli utilizzare in maniera adeguata. Una policy di uso dei social è fondamentale: non tanto per regolamentare quanto per supportare i dipendenti a non commettere errori e togliergli eventuali paure. In questo documento, in modo chiaro, devono essere segnalate tutte le linee guida di comunicazione, definendo cosa il dipendente può condividere e cosa no, una serie di keyword a rischio e tutti i topic a rischio.

In tal senso esistono molti esempi in cui aziende hanno dato vita a veri e propri gruppi di comunicazione spontanei. La banca americana Avidia ha lanciato ormai da tempo gli Avidia Smarties, un team riconosciuto di dipendenti attivi sui social che lavorano per dare un punto di vista diverso dell’azienda. Un vero brand che è diventato una voce parallela a quella ufficiale, potendo così attivare un tipo di comunicazione meno istituzionale, più idonea ai canali social e alle conversazioni che qui prosperano.

Perché puntare sul Employee Advocacy:

  • Le persone si fidano maggiormente di un dipendente (53%) rispetto a un CEO (47%). Ancora più persone (65%) si fidano di un esperto tecnico dell’azienda.
  • Quasi l’86% dei dipendenti coinvolti in un programma di advocacy formale afferma che ha avuto un effetto positivo sulla loro carriera.
  • LinkedIn ha riscontrato che i dipendenti di un’azienda tendono ad avere 10 volte più follower rispetto alla società stessa.
  • LinkedIn ha anche scoperto che mentre solo circa il 2% dei dipendenti ricondivide i post social della propria azienda, è responsabile del 20% dell’impegno complessivo.
  • Le persone in cerca di lavoro (ovvero potenziali talenti) affermano che gli attuali dipendenti sono la fonte di informazioni più attendibile su un’azienda. Inoltre classificano le reti sociali e professionali come le risorse più importanti nella loro ricerca lavorativa.

La versione 2019 del Trust Barometer di Edelman, ha analizzato il mondo dei dipendenti aziendali, dando importanti insight anche lato employee advocacy. Le figure ritenute più credibili risultano essere gli esperti aziendali con un rilevante 65%.

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I plus dell’employee advocacy

Sono molti i vantaggi di far partecipare i dipendenti alla comunicazione aziendale. Alcuni più legati alla visibilità, altri molto più qualitativi e “profondi”, capaci, alla lunga, di essere un reale vantaggio competitivo. Vediamo i principali:

  • Dare voce al volto umano dell’azienda: umanizzare il brand e diminuire la distanza che spesso c’è con i target, un vantaggio concreto che può diventare realtà grazie ai dipendenti. L’approccio con l’employee advocacy non è azienda-utente, ma person to person, un dialogo tra persone appunto.
  • Sfruttare al meglio la passione di chi ci conosce al meglio: l’entusiasmo è coinvolgente e fa bene alla comunicazione (senza eccessi, mi raccomando). I messaggi che raccontano la passione verso il proprio lavoro incidono positivamente sulla percezione della realtà.
  • Utilizzare la competenza del personale interno e la loro affinità rispetto agli utenti: ci sono settori dove per comunicare correttamente serve necessariamente un know-how verticale. Settori B2B, bancario, assicurativo solo per citarne alcuni. Chi meglio dei dipendenti, coloro che operano realmente in questi ambiti, può parlare con competenza? Spesso abbiamo veri esperti in house senza rendercene conto, esperti che possono fare molto non solo per il nostro core business, ma anche per la comunicazione.
  • Far comunicare le singole persone, più credibili e spontanee del brand: le persone sono e saranno sempre più credibili di un’azienda, più veritiere perché non riconducibili immediatamente a interessi economici. I messaggi dei dipendenti creano così, anche perché sentiti come più naturali, più fiducia e relazione.

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Gli obiettivi dell’employee advocacy

Proprio come in ogni progetto ben fatto si parte sempre dal definire gli obiettivi, i risultati che vogliamo raggiungere attraverso le attività realizzate. un’esigenza che ci permette di restare “connessi” all’azienda e di lavorare per creare reale valore aggiunto. Saranno poi sempre gli obiettivi a guidare la strategia d’azione e la stesura dei contenuti.

Non dimentichiamoci mai che qualunque sia la finalità essa deve rispettare la policy di comunicazione e linee guida aziendali.

Vediamo insieme i tre principali obiettivi:

  • Awareness: dar visibilità al brand e alle sue iniziative;
  • Lead generation: grazie alle condivisioni e all’influsso positivo dei dipendenti sulla reputazione del brand possiamo ottenere contatti rilevanti per il business aziendale;
  • Company values: obiettivi meno “visibile”, ma importantissimo. L’employee advocacy diventa un modo per trasmettere e dare rilevanza ai valori aziendali e alla sua cultura.

Employee advocacy: i possibili KPI

Come qualsiasi attività, anche i progetti di employee branding necessitano di essere monitorati, valutandone impatto e risultati. Ne consegue la necessità di scegliere dei KPI adeguati. Sono ovviamente molti quelli connessi, che differiscono a seconda delle attività e degli obiettivi messi in campo. Eccone alcuni:

  • Numero di dipendenti iscritti rispetto al numero di dipendenti attivi;
  • Numero di condivisioni dei contenuti aziendali;
  • Numero di condivisioni per dipendente;
  • Social lead generati, sia per canale che per dipendente;
  • Aumento delle mention online;
  • Miglioramento del sentiment relativo all’azienda e ai suoi prodotti/servizi.

L’employee advocacy step by step

Far partire e mandare a regime un progetto di employee advocacy può non essere cosa semplice, eco quindi i passi necessari a farlo al meglio e senza rischi.

Partire “piano”

Identifica potenziali influencer all’interno dell’azienda è il primo passo. Contattateli e utilizzateli come beta tester del programma. Offriranno feedback e spunti di miglioramento e, quando a regime, saranno guida per le altre figure che vorranno diventare brand ambassador.

Rendi chiari i vantaggi

I dipendenti, per essere ingaggiati al massimo, devono giustamente vedere dei vantaggi in questa attività per l’azienda. Questo è un passaggio fondamentale in cui essere estremamente chiari e trasparenti.

I pus per loro potrebbero essere un aumento di visibilità e credibilità come esperti in materia, ma è consigliabile anche lavorare con incentivi. Chiedere direttamente a loro aiuta a farli sentire coinvolti.

La spontaneità premia

Se si vuole forzare i dipendenti a partecipare o condividere contenuti il nostro progetto avrà vita breve. Ne scaturiranno poi contenuti che rischiano di non dare reale vantaggio al brand e alla sua reputazione.

Facciamoli sempre sentire “parte” del programma, mai solo strumento. Il riconoscimento o una ricondivisione sui principali account social dell’azienda può aiutare in tal senso.

Sfrutta gamification

Far diventare l’advocacy un gioco favorisce il coinvolgimento e l’impegno dei dipendenti. Molti tool aiutano a fare ciò, ma è la strutturazione che deve tenerne conto per funzionare. A volte basta poco, come creare un hashtag dedicato e tenerlo monitorato per vedere le performance dei diversi post e fare delle classifiche a cui collegare riconoscimenti o premi.

Cisco ha indetto un concorso per gli stagisti estivi del 2019, incoraggiandoli a condividere con l’hashtag #WeAreCisco. Il premio? Un Apple Watch.

Rendi facile l’azione

Semplificare i processi rende più agevole e invoglia a partecipare. L’utilizzo di un tool a supporto, la creazione delle policy di comunicazione sono un primo passo. Il secondo è dar vita a contenuti interessanti o divertenti da condividere.

Ciò non significa bloccare la loro creatività, spesso capace di dar vita a contenuti realmente “diversi” da quelli aziendali e quindi più performanti. I dipendenti Lush sono un ottimo esempio, creando con i loro user generated content un senso di comunità tra loro e i loro clienti.

Employee advocacy: i tool di supporto

Parliamo pur sempre di digital e anche in questo caso ci sono molti tool utili a darci supporto nelle attività di engagement dei dipendenti. Ne esistono molti, diversi per caratteristiche e prezzo. Non è facile scegliere, ovviamente a guidarci devono essere gli obiettivi e le attività in essere, ma soprattutto la struttura della nostra realtà. Inutile adottare un tool, magari molto funzionale, se non è facilmente utilizzabile dai colleghi.

Mettiamoci sempre nei panni che stiamo lavorando per coinvolgere altre persone, spesso non legate al mondo digital e che prioritario e rendergli facile ogni attività. Un’attenzione che potrebbe far la differenza per il successo del progetto. La user experience in tal senso è vitale.

Come detto sono molti i tool disponibili, io vi consiglio questi:

  • Bambu (Sprout Social);
  • GaggleAMP;
  • Hootsuite Amplify;
  • Sociabble;
  • Social Toaster;
  • LinkedIn Elevate

I dipendenti come social boost

Il continuo peggioramento della visibilità organica dei social e la conseguenza necessità di spingere sull’advertising stanno disarmando molte delle potenzialità comunicative dei brand. Senza contare che l’impatto dei post organici non può essere minimamente paragonato ad uno sponsorizzato.

In fase avanzate dei programmi di advocacy è possibile, grazie a strumenti dedicati, “aprire” la condivisione dei contenuti aziendali alla quasi totalità dei dipendenti, non chiedendogli un’attività di contenuto, ma la semplice azione sociale (like, commento, condivisioni), massimizzando così le performance dei post e l’effetto di riprova sociale.

Un’advertising “naturale”, realizzato grazie alle risorse umane aziendali e che apre possibilità anche a chi, per policy delle piattaforme, non può accedere alle ads.

L’employee advocacy come via per l’influencer marketing

In un influencer marketing che punta sempre di più sui micro-influencer , l’utilizzo dei dipendenti va perfettamente in questa direzione. Influencer dall’audience minima ma molto credibili grazie alla loro affinità con gli utenti. Un’affinità che fa percepire e che è spinta al dialogo.

Valori che in particolari settori diventano vincenti: unendo alla competenza quell’approccio umano che tanto piace agli utenti e che è spesso difficile proporre per realtà spesso molto istituzionali. Un modo per valorizzare il brand, prodotti, servizi, ma ancor di più lavorare sulla reputazione. Un’obiettivo ambizioso che necessita di pazienza, ma che è e sarà sempre più determinante per le performance delle aziende.