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Scritto ascoltando: La Sintesi – Ho mangiato la mia ragazza
Torno a confrontarmi e a chiedere l’aiuto di professionisti della comunicazione web per la seconda uscita di “2 parole con”.
Oggi si parla di social e di quanto sia fondamentale utilizzarli, ma soprattutto utilizzarli nella giusta maniera. Un punto che nella sua banalità spesso non viene ancora considerato nella sua reale importanza. Troppo spesso vediamo anche grandi brand cascare in errori ed epic fail, “abbandonare” la gestione di canali tanto chiave come i social a stagisti o collaboratori nemmeno minimamente formati.
Ne parliamo con Francesco Ambrosino, esperto di social media marketing e comunicazione digitale; Autore per numerosi blog di settore e uno dei “nuovi blogger” secondo me più interessanti grazie a preparazione e molto senso pratico. Se non volete fare il social a #acazzodicane seguitelo!
Ciao Matteo e grazie per questa opportunità. Rispondo come non si dovrebbe mai fare, ovvero con una domanda: è davvero così fondamentale? So che può sembrare controproducente per un socialmediacoso come me dire una cosa del genere, ma è quello che penso. I social network sono uno strumento eccezionale se utilizzato con competenza e buon senso, ma non siamo obbligati ad usarli. Essere presente solo perché di moda, perché lo fanno tutti, non ha senso.
Avere una pagina su Facebook non equivale a fare social media marketing, se non si inserisce tutto all’interno di una strategia editoriale precisa e ben strutturata. Vivere alla giornata, senza una progettazione, può causare più danni della totale assenza dai social.
Come direbbe Oscar Wilde, «A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.». Questo vale nella vita e ancora di più nella comunicazione aziendale. Non basta solo esserci, è necessario generare valore e per farlo servono competenze e, prima ancora, un’idea.
Certo che puoi far gestire i social a tuo cugino, o al figlio della signora del terzo piano che è “tanto bravo con i computer”, ma non ti devi aspettare risultati, al massimo delle grandissime figure di merda.
Il problema quando si parla di social network è che l’interlocutore non esperto non riesce a considerarli uno strumento professionale, a differenza di quello che accade con i siti web; eppure Facebook e il sito fanno parte entrambi del macro insieme altrimenti noto come “social media”, solo che uno dei due non è utilizzato per condividere foto di gattini e inviare irritanti richieste di iscrizione a giochini idioti.
È un problema culturale, e se non si approccia l’argomento con una certa leggerezza, ma al tempo stesso con serietà, si rischia di spaccare il mondo in due, da una parte quelli che operano sui social e dall’altra quelli che pensano che gli altri siano solo dei coglioni che cazzeggiano online.
Come ho detto prima, il primo rischio è quello di non avere niente da dire e, pur di non tacere, si finisce col dire idiozie. Il secondo è quello di farsi risucchiare dallo strumento. Lavorare senza una progettualità, senza obiettivi di breve, medio e lungo termine, si traduce in una perenne ansia da prestazione, ogni giorno produrre contenuti di valore diventa un incubo, reperire fonti un calvario.
È come se volessi andare dalla California al Giappone in canoa, come raccomandava un tempo Google Maps. Magari ci arrivi, se non muori prima, ma c’era sicuramente un modo più immediato e semplice per farlo. O no?
Gestire la propria presenza online senza una strategia e una serie di strumenti da adoperare può avere effetti devastanti per l’azienda e il professionista.
Beh… innanzitutto era il mio omaggio al mitico René Ferretti di Boris, serie tv che adoro e che mi manca tanto. L’utilizzo dell’hashtag #acazzodicane (che esisteva già, sia chiaro) deriva proprio da quello che dicevo prima, questa tendenza a sottovalutare il potere dei social che porta a una superficialità nell’utilizzo insopportabile. Da quelli che usano il profilo personale invece della Pagina, e che oggi si lamentano perché Facebook gli ha chiuso l’account, a quelli che scrivono post, o tweet, senza revisionarli, senza correggere eventuali errori di battitura – esiste la funzione “modifica”… così, tanto per dire.
Per non parlare degli orrori sintattici e grammaticali; quanto vorrei prendere a pagaiate (me la faccio prestare da chi è andato dagli Usa al Giappone in canoa) quelli che scrivono la terza persona del verbo avere senza la H, oppure la e congiunzione al posto della è copula, e mi fermo qui perché solo a scriverlo mi sale il nervoso.
Poi ci sono i professionisti dell’Epic Fail, quelli che pensano di fare social media marketing piazzando il cancelletto davanti a una sequenza di parole incomprensibili, come il caso recente del #tutogliioincludo, che tu hai brillantemente illustrato in tuo post di qualche settimana fa. La cosa che mi stupisce è che nel 90% dei casi si tratta di grandi brand, multinazionali, che non hanno problemi ad affidare la gestione dei social a professionisti competenti, ma finiscono col fare delle figure pessime che rovinano la reputazione. Perdere la faccia sul web è un attimo, recuperare credibilità è molto difficile.
La frase tipica è “il problema è che io non ho tempo, altrimenti me ne occuperei da solo”, come se l’unico requisito richiesto a un social media manager sia il tempo libero. Non hai niente da fare dalla mattina alla sera, quindi ti occupi di social. Magari fosse così semplice, anche chi ha maturato esperienza e competenze è tenuto ad aggiornarsi continuamente, a studiare, a sperimentare, perché le cose cambiano molto velocemente e non ci si può improvvisare. Poi c’è l’annoso problema dei contenuti, che raramente le aziende forniscono, e tu devi impazzire per produrne di valore o reperirne online da fonti autorevoli.
Lo consiglio certamente, ma a patto che sussistano tre condizioni essenziali:
- che la piattaforma sia utile per intercettare il tuo target di riferimento;
- che si integri la gestione di Facebook alla strategia marketing e commerciale dell’azienda;
- che si producano contenuti di valore. Senza questi tre elementi consiglio vivamente di continuare con i volantini sui parabrezza delle auto e i cartelloni 6×3 nelle stazioni della metro.
Per quanto riguarda il calo di visibilità, è un dato di fatto con il quale bisogna fare prima o poi i conti. Chi vuole usare Facebook per la propria attività deve sapere che un piccolo budget mensile da investire in Ads è consigliabile. Questo non vuol dire che non si possa gestire una Pagina Fan senza sponsorizzate i post, perché se si creano contenuti che i fan apprezzano, lo si fa nel modo giusto, e si analizzano gli insight, si può anche superare, e di parecchio, quel 3-4% di utenti raggiunti sul totale dei likers. E ti dirò di più, si possono raggiungere anche più persone di quelle che hanno cliccato sul Mi piace alla pagina se si fanno le cose bene. Non accade sempre, ma accade.
Bisogna sottolineare, però, che la portata non è la metrica più importante. Quello che conta davvero è l’interazione. Se hai una portata molto ampia ma nessuno clicca Mi Piace, commenta o condivide il tuo post, vuol dire che stai sbagliando qualcosa.