Una delle nostre tendenze, soprattutto quando parliamo di innovazione, è quella di ragionare in termini di sostituzione e non di estensione. Pensiamo al metaverso come alternative fatte e finite ai nostri spazi di socialità e non, come dovremmo, ad una loro versione “aumentata”, un add-on da sfruttare per migliorare le nostre opportunità.
Probabilmente perché risulta più facile fare ciò che non comprendere come integrare queste innovazioni, trovando (o creando) punti di connessione utili ad un’attivazione sinergica.
Una tendenza che è molto evidente quando parliamo di un’altra delle next big thing lato digital: gli influencer virtuali. Questi non sono e non saranno MAI, sostituti dei creator umani, ma senza dubbio andranno ad affiancarli (cosa a cui già assistiamo nei mercati asiatici per esempio), offrendo forme di narrazione e connessione emotiva con gli utenti diverse.
Pur essendo dichiaratamente irreali, creati a tavolino così come ogni esperienza e contenuto che raccontano, questi sono capaci di creare una forte connessione con gli utenti e un impatto, anche alto conversione, di grande portata.
Basta guardare le audience di molti di questi influencer, la loro capacità di generare interazioni, ma non solo. Lo raccontavo qualche mese fa, Noonoori, una delle più note influencer virtuali, quando crea un contenuto #ad con un brand riesce a performare meglio che con i contenuti organici. Qualcosa che è assolutamente inusuale.
Ma perché succede tutto questo?
L’influenza dei meta influencer sta nelle aspirazioni e nelle tensioni sociali che essi riescono a trasmettere, generando, conseguentemente, empatia e quindi connessione. Un punto fortemente connesso alla credibilità e alla spontaneità. Siamo infatti abituati da tempo a contenuti “costruiti” anche quando questi sono realizzati da persone reali. Il dichiararsi, sin dall’inizio, come fittizi degli influencer virtuali pone un livello di onestà molto alto e concreto, elemento che è sempre un forte driver a livello di relazione.
Un altro punto chiave è la valenza del racconto, della narrazione. Non reale, non significa meno vero, almeno nella percezione. Le storie, la narrazione che contenuto social dopo contenuto gli influencer virtuali producono sono assolutamente reali, credibili, immersivi in quello che fanno provare agli utenti che li seguono.
In fondo è un qualcosa a cui siamo già abituati: un film, un libro non devono per forza raccontare storie realmente accadute per generare in noi sentimenti, trasporto, connessioni emotive.
Ne deriva che il grossissimo lavoro quando parliamo di influencer virtuali non è solo nella loro creazione e nella tecnologia da padroneggiare, ma nella creazione del personaggio e in un profondo impegno a livello editoriale per creare un percorso reale e d’impatto per gli utenti.
Questo resta, a mio avviso, lo scoglio più grande nella creazione da parte dei brand dei proprio virtual influencer. La necessità di dover integrare in modo limitato e con i giusti tempi prodotti e servizi, dando priorità alla narrazione del personaggio, decisiva per creare seguito e posizionare l’influencer. Qualcosa di poi non troppo lontano di quanto accade, o dovrebbe, con i creator umani.