Metaverso, NFT, virtual influencer. Fenomeni ormai sociali, ma prima ancor a livello di comunicazione e marketing, generando un enorme “rumore” ed un hype, per certi versi, anche eccessivo.
Un’attenzione che però manca spesso il passaggio successivo, strategico, cercando cioè di capire come rendere questi strumenti utili per gli utenti e, quindi poi, per i brand. Perché va benissimo moda e buzz, ma finita l’ondata se non messo a regime difficilmente tutto questo, seppur sorprendente, può essere in grado di portare valore reale.
Strumenti, questi, pensati per portarci in realtà virtuali: mondi fatti di persone, beni e spazi digitalizzati, così come l’esperienza connessa. A voler ben vedere gli strumenti possono anche essere nuovi, ma l’approccio narrativo ed esperienziale, quello di progettazione e coinvolgimento dei brand resta molto più accorto di quello che si possa pensare al presente (e al passato). Un punto più chiave di quello che si possa pensare perché troppo spesso in sistemi innovativi si corre il rischio di perdere per strada le basi, sacrificate sull’altare del voler essere futuristici. Punto.
Un approccio che però lascia dubbi e, soprattutto, mancanza di risultati.
Narrazione ed empatia al centro
Narrativa appunto, la stessa che troviamo in film, serie tv, libri e videogiochi. Mondi alternativi che esistono solo nell’immaginazione condivisa di creatori e pubblico, un mondo in cui, nonostante la virtualità, abbiamo la necessità di stringere potenti legami emotivi. L’errore spesso sta proprio qui, nel pensare esclusivamente alla limitazione della virtualità e quindi, giocare tutto su innovazione ed effetto wow. Ma perché questi mondo virtuali siano funzionali (e utili) è fondamentale che ricalchino l’essenza di quelli reali: la capacità di essere driver di relazioni vere e genuine.
Cambiano le piattaforme su cui raccontiamo le storie, ma il successo dipende ancora dalle basi della capacità di influenzare, di coinvolgere e, quindi, della creatività e dell’empatia.
Questi nuovi mezzi narrativi, siano essi persone digitali, beni digitali o spazi digitali danno linfa al desiderio umano di creare relazioni e sentire empatia. Ma se empatizzare sta nella natura sociale dell’uomo, dar vita a connessioni significative richiede un lavoro progettuale diverso, più profondo, un lavoro che non può essere in capo solo ai tecnici, ma necessita di un team ben più allargato.
Esperti di narrazione, autori, psicologi, solo per citarne alcuni.
Non dobbiamo MAI dimenticare che il reale valore di beni digitali come gli NFT, ad esempio, non sta tanto nel loro costo o status, ma nella loro capacità di connettere le persone in una storia condivisa che si evolve man mano che le persone sono coinvolte.
Dati: raccogliere, analizzare, progettare
Progettualità che non rinunciano alla tecnologia, sia chiaro. Basti pensare alle opportunità date dall’AI, dal suo raccogliere dati dagli utenti su vasta scala, analizzare tali informazioni e dandoci feedback sui behaviours delle persone coinvolte.Insight che aiutano a progettare, ma soprattutto a personalizzare, la reale next big thing a mio avviso di questi anni.
Perché se ci focalizziamo sul miglioramento dell’esperienze, sul loro essere realmente immersive, nulla lo sarà mai di più di qualcosa tagliata su misura, realmente e il più possibile customizzata.