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Scritto ascoltando: Eric Clapton – Bottle of Red Wine
In Open-Box abbiamo numerosi clienti che operano nel settore del wine, fatto che mi porta a confrontarmi spesso con la trasposizione digitale di questo mondo. Un lavoro non sempre facile, dato il forte legame che persiste tra questa realtà e la tradizione, un lavoro che però trova sempre più spazio. La comunicazione digitale con tutto ciò che ne consegue (blogging, social, adwords, SEO, ecc) è diventata ormai una necessità impellente che non può essere trascurata se si vuole ottenere risultati di mercato importanti.
La qualità del prodotto conserva un’importanza fondamentale (molto più che in altri settori), ma ciò non basta. Il consumatore odierno cerca altro e nella maggior parte dei casi lo cerca sfruttando le opportunità della rete. Una rivoluzione lenta quanto inesorabile a cui non è possibile sottrarsi.
Per comprendere meglio questo argomento molto di nicchia ho deciso di fare due domande a Lisa De Leonardis, esperta di settore, quotidianamente impegnata nel dare un lato digital a cantine e produttori… ma non solo!
Innanzitutto grazie per l’ospitalità, Matteo. E’ sempre un piacere mettersi a disposizione di colleghi gentili e simpatici e dei lettori, naturalmente.
Detto ciò vengo alla tua domanda. Il binomio vino e digitale in Italia sta evolvendo rapidamente. Mi spiego: moltissime cantine stanno lavorando ai loro siti web perché si sono rese conto che ai naviganti non sono più sufficienti le risposte offerte dai “classici” siti-vetrina. La confidenza dei consumatori con il web è cresciuta e con essa anche le esigenze che chi cerca un vino, un vitigno, una cantina online, manifesta.
Il consumatore medio viene sul web innanzitutto per leggere, informarsi, scoprire, imparare. Chi si occupa di vino, perché lo produce o solo perché lo vende, deve comprendere che solo dando queste risposte ha delle chance soddisfacenti. Più semplicemente: bisogna produrre contenuti di qualità per aprire conversazioni e costruire un rapporto di fiducia con l’audience.
Devo dire che la risposta del mondo del vino è mediamente lenta, ma c’è. Sta passando il giusto concetto che non basta mettere online un sito, un ecommerce o aprire una pagina su un marketplace per vendere, così come non basta avere un prodotto di qualità per avere successo.
Il digitale, come tu sai, offre delle opportunità che il marketing tradizionale non dà.
Innanzitutto si può sperimentare, provare – anche da sé – e sbagliare, che comunque è una scuola. Il web è potente e arriva dovunque.
A parità di investimento il web permette di realizzare azioni di marketing e comunicazione su una scala molto più vasta, sia geograficamente che numericamente.
Questa è la ragione principale per la quale tutti ci vogliono essere ma, al contempo, rappresenta anche il principale motivo di fallimento di moltissime iniziative.
Quando hai la pretesa di parlare a tutti, di voler essere conosciuto da tutti, di rivolgerti a tutti, i tuoi sforzi valgono una goccia nel mare.
Se agisci con precisione chirurgica su una nicchia di mercato alla volta, invece, l’impatto della tua azione può essere molto grande e molto valido in termini di business. Ecco: il web ti dà l’opportunità di avere la certezza di parlare con la tua audience e di ascoltare i loro feedback.
Questo perché le strategie vincenti si basano principalmente sui contenuti e sulle conversazioni: post sui social, articoli di blog, immagini, video su youtube. Se ti rivolgi ad un gruppo di persone in particolare, diciamo più generalmente ad un cliente-tipo specifico, saprai dove andarlo a pescare, saprai quali sono i suoi gusti, saprai insomma come coinvolgerlo, come sedurlo, come convincerlo.
Naturalmente per creare contenuti efficaci servono dei professionisti.
Penso che gli strumenti di marketing e comunicazione evolvono ad una velocità pazzesca e capisco che non è semplice stargli dietro. Credo moltissimo nei social network come strumento di comunicazione e di lead generation, ovvero di contatto e “censimento” di potenziali clienti. Penso che gli smartphone siano un eccellente ponte di collegamento tra il prodotto ed il cliente: App, segnalazioni di prossimità (proximity marketing) e informazioni da dispositivi “nascosti”, ad esempio dietro le etichette dei vini, sono il futuro.
Quanto agli ecommerce, visto che me ne occupo sempre più spesso, vorrei fare una specifica. Vendere vino sul web è un’impresa ardua di per sé e lo è ancor di più per un ecommerce di una singola cantina, magari non particolarmente conosciuta.
Tuttavia avere uno store online che funziona (anche nei numeri) è possibile: bisogna lavorare sodo per creare un portale che offra un servizio impeccabile e che non sia solo uno scaffale, come ce ne sono tanti. Bisogna concentrarsi moltissimo sulla SEO, sul copy delle schede prodotto che devono essere complete ed esaustive al massimo, oltre che belle dal punto di vista visual. Il cliente deve, insomma, non sentire la mancanza del contatto con la bottiglia. Deve assaporare il vino senza averlo fisicamente nel bicchiere.
Un occhio particolarmente attento deve essere posto sulla User Experience, anche perché il cliente medio è diffidente: tanto più complessa e travagliata sarà la via verso l’acquisto, quanto più difficile sarà chiudere la vendita.
Attenzione anche al post-vendita: coccolare il cliente è fondamentale. Se si trova bene ne parlerà in giro diventando una “pubblicità ambulante” (e gratis!) per il portale. Non c’è niente di meglio!
Quelle che mi hai citato sono tutte evoluzioni che fanno bene al business, di qualunque settore stiamo parlando. Se dovessi però fare una classifica forse organizzerei il podio così (ovviamente è solo una mia idea!): 1° storytelling, 2° sistemi evoluti d’acquisto, 3° anticontraffazione.
Partiamo dalla “coda” della classifica. Ci sono molte forze che lavorano per contrastare il mercato del falso o del contraffatto e certamente il digitale potrà portare un aiuto fattivo nella tracciabilità dei prodotti, nel riconoscimento delle filiere e delle certificazioni. Questo nel food&wine è particolarmente importante. Tuttavia i birichini di turno non sono abituati a spaventarsi facilmente e sarà necessario continuare anche a lavorare tanto “offline” per ottenere dei risultati definitivi.
I sistemi evoluti d’acquisto possono facilitare le chiusure, ovvero possono fare in modo che la vendita sia facile e multicanale. È importantissimo, se pensiamo a quanto è alta la percentuale di abbandoni al carrello (una forbice tra il 65 ed il 72 percento, secondo vari studi). Certamente dare l’opportunità di acquistare via mobile, via desktop, di pagare con un click o con una foto è molto entusiasmante e darà una piccola sforbiciata a queste percentuali ancora un po’ alte. Ma l’acquisto è solo un pezzo di un processo che comincia molto prima.
Per questo ho messo sul gradino più alto del podio lo storytelling (per me da intendere in senso ampio) perché è così che le aziende possono lavorare sulle intenzioni di acquisto, sulla formazione di una idea sul prodotto/servizio… insomma, andare all’origine e guadagnare autorevolezza, credibilità, spessore. Pensa al successo del brand Franciacorta. Magari molti lettori non l’hanno mai assaggiato, però pensano che sia un vino fiko (lo dico alla Rudy Bandiera, tanto che siamo in tema di influencer) e prima o poi ne compreranno una bottiglia.
Sanno cosa c’è dentro? No. Sanno cosa c’è fuori. Questo basta.
Noi scegliamo i prodotti in base ad una idea che abbiamo, che ci siamo formati grazie ad una serie complessa di input: opinioni di altri user, informazioni raccolte, commenti, letture. Molti di questi input arrivano dalla rete. Arrivano da ricerche su Google, dai social, da articoli di influencer rimbalzati da amici. Così ci facciamo un’idea del marchio, del prodotto; così ci “viene voglia” di acquistare qualcosa. Ecco perché lo storytelling e il blogging rappresentano la vera carica inesplosa del business.
Una volta individuato il canale giusto, attraverso lo studio accurato della nicchia di mercato di riferimento e delle buyer personas, l’azienda ha davvero la possibilità di decretare il suo successo.
Chiudo ricordando che per strutturare una campagna di marketing e comunicazione così complessa e per toccare con mano i risultati ci vuole un po’ di tempo.
Un’alternativa? La pubblicità tradizionale.
Nel mondo del vino ho appena citato Franciacorta. Il lavoro che hanno fatto sul branding è stato straordinario. Hanno aggregato un territorio ed hanno messo insieme tutte le forze che potevano. C’è una coerenza di fondo che mi piace moltissimo ed è rara a trovarsi.
Qualcuno mi dirà che è un network tanto saldo che diventa gabbia per chi ci sta dentro, ma forse qualche prezzo bisogna pure pagarlo per un successo tanto eclatante.
Poi, tanto per non far pubblicità ad un brand ma ad una iniziativa, potete dare uno sguardo a quello che ho fatto con il Master in Wine Export Management qui.
È stato un lavoro di promozione lungo un anno, che ha visto la realizzazione del Master sfruttando soltanto le potenzialità divulgative del web e l’inbound marketing.
Dapprima c’è stato un lavoro sull’identificazione dei buyer, poi una ricerca sulle keywords, poi la realizzazione di un’agenda editoriale. La strategia ha portato, in sei mesi, a posizionamenti sulle Serp di Google che si sono rivelati fondamentali. Posizionamenti tipo “corso wine export” oppure “corso export vino” che conserviamo ancora con il sito web ufficiale del master www.vinoexport.it, (un blog di una semplicità disarmante!) e che ha portato oltre il 50% dei contatti al corso.
Il Master ha avuto un’eco nazionale, l’aula è stata riempita al massimo della sua capienza e quest’anno siamo già a buon punto, praticamente solo sulla scorta del lavoro fatto l’anno scorso e sul passaparola generato dagli studenti della prima edizione.
Quindi, ok ci vuole tempo per avere i primi risultati, ma poi la portata è a lungo termine. Non si esaurisce.
#cantine #sveglia: chi ama il #vino è già online e aspetta solo di trovare il suo prodotto preferito.
Troppo aggressivo?