Oltre 400 professionisti intervistati per un report dedicato al mercato italiano dell’influencer marketing. Dati e insight utili a capirne caratteristiche, trend, prospettive.
La costante crescita del mercato italiano dell’influencer marketing è argomento sotto l’occhi di tutti, marketer in primis. Una crescita rilevante, ma mai monitorata adeguatamente: sono infatti poche, se non assenti, le analisi e i dati a cui attingere per riflessioni e considerazioni.
Una mancanza a cui abbiamo cercato di porre rimedio con il progetto dell’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, realtà no profit con l’obiettivo di informare e fare educazione sul tema influencer marketing. L’attività principale dell’ONIM è la creazione di report dedicati annuali che, in modo più o meno verticale, migliorino la conoscenza dei principali aspetti legati al topic influencer.
Il primo report, quello relativo al 2018, ci delinea un mercato vivo e sempre più importante, ma anche ancora poco maturo per approccio e progetti. Il 67% degli intervistati dichiara di aver realizzato tra 1 e 3 progetti lo scorso anno. Un numero di campagne limitato a cui fa seguito però un ampio livello di gradimento: il 67,22% dei marketer dichiara di ritenersi soddisfatto dei risultati ottenuti tanto da voler aumentare il budget dedicato nel prossimo futuro (67,5%).
Dall’analisi dei settori in cui l’influencer marketing è utilizzato si evince la trasversalità e la capacità di questo strumento nell’adattarsi a molteplici situazioni/prodotti. I principali settori sono:
- 17,6% di Fashion
- 17,6% Food & Beverage
- 12% Travel
- 9% Tech
- 8,6% Beauty
- 7,1% Sport
Sfide e obiettivi
I professionisti intervistati vedono nella fase si selezione delle figure da coinvolgere la sfida più complessa, seguita dalla misurazione delle performance. In questo si delinea quanto l’influencer marketing sia ancora lontano dall’uso sistematico della tecnologia e, soprattutto, da un approccio data-driven. A frenare le campagne è, nella maggior parte dei casi, il budget limitato (35,7%) e la mancanza di un team dedicato (19,2%). problema sentito e che molte aziende stanno cercando di risolvere. Un sintomo importante per il miglioramento dell’uso dell’IM in Italia.
Parlando di obiettivi non stupisce che il dato più alto sia quello relativo all’awareness (19.5%), ennesimo sintomo di un mercato ancora do consolidarsi. Presenti anche obiettivi più “alti” e concreti: l’incremento della brand reputation registra un 18,3%, il rafforzamento delle relazione con utenti e community un 10,7%, mentre il 7,3% punta ad incentivare gli acquisti.
Canali e attività
L’analisi conferma come Instagram risulti il canale più utilizzato per le campagne (83% lo usa da spesso a molto spesso). Lontano, ma ancora presente c’è Facebook (37% spesso), impiegato in molti casi come supporto ad Instagram. Meno utilizzato, ma assolutamente rilevante YouTube, un social adattissimo all’IM, ma visti i costi legati alla produzione video non certo per tutte le tasche.
Le attività più connesse all’IM sono il product placement (21,6%), per la facilità di impiego, la promozione di un contenuto (19,6%) e il lancio di prodotto (19,1%). Anche gli eventi resistono con un buon 16,2%.
Per quanto concerne la selezione degli influencer emerge ancora la mancanza di una professionalità diffusa. Solo il 33,5% dei marketer intervistati si affida infatti a strumenti data driven come tool dedicati (15,1%) o di social e web listening (18,4%). Il dato più alto è quello relativo ai social media (36,8%), i motori di ricerca (14%) o, peggio, a sistemi come il passaparola (11,4%) o le liste online (36,8%).
Il report conferma la crescente importanza dei micro-influencer. Il 59,7% degli intervistati lavora con figure sotto i 30mila follower. Il 13,7% sceglie invece influencer tra 50mila e 100mila follower mentre il 9,7% va sopra il 100mila. Passando ai parametri di selezione a farla da padrone sono la qualità dei contenuti (il 60% la considera molto spesso), la reputation (49%) e l’engagement sui social (47%).
Il contatto avviene per lo più lato social media (32,6%) e email (39,6%). Lontani le altre metodologie.
Misurazione ed economics
Anche i KPI di valutazione delle campagne ben ricordano l’approccio non sempre pro delle aziende italiane. La scelta ricade infatti spesso su parametri di più visibile (e facile) misurazione come Engagement e Audience raggiunta. Menzioni e sentiment risultano indicatori di valore, anche se costringono i team ad attività e utilizzo di strumenti altamente professionali che non tutti i professionisti hanno.
La retribuzione degli influencer è un tema che attira grande attenzione. Il report ci racconta l’evoluzione di un mercato ormai sempre più rivolto a creator professionisti. Il 33,7% degli intervistati dichiara addirittura di retribuire sempre gli influencer, mentre le collaborazioni free registrano un dato molto basso, un 11,3% assolutamente eloquente.
Andando ad analizzare il topic canale per canale si evidenzia un compenso medio tra i 300€ e i 600€. Instagram (3%) e Youtube (4%) vedono collaborazioni anche sopra i 2.000€ che, seppur limitate, dimostrandosi ancora una volta come i canali più rilevanti alto influencer marketing.
Uno sviluppo seguito anche dalla regolamentazione, soprattutto grazie al lavoro fatto da AGCM, associazioni consumatori, istituzioni e dallo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitario). L’hashtag #ad è ormai una presenza quasi fissa tanto che il 54.9% dei marketer dichiara di utilizzarlo costantemente. Ai minimi i furbetti: solo l’8,5% non utilizza mai tali pratiche.