Tempo di lettura: 3 min. e 07 sec.
Scritto ascoltando: Eminem feat. D12 – Under The Influence
Influencer. Una parola negli ultimi mesi diventata mantra. Sono numerose le occasioni che hanno visto al centro questo tema. Ne hanno parlato noti esperti di settore come Riccardo Scandellari, Rudy Bandiera, Gianluca Diegoli, creando un intenso dibattito a proposito.
Ne sto leggendo tante, forse troppe, sulla figura degli influencer e sul loro essere spesso identificati con personaggi noti, vip. Ed è proprio da qui che parte la mia riflessione: bisogna per forza essere celebrità per avere capacità d’influenza?
La risposta è NO, perché nel nostro piccolo siamo tutti influencer.
Strano? Meno di quello che sembri. Nella nostra ridotta rete sociale, tutti possediamo capacità d’influenza. Abbiamo una sfera d’ingerenza, una comunità dove far sentire la nostra voce. Familiari, amici, semplici conoscenti che si fidano della nostra opinione e di cui siamo in grado di influenzare pensieri ed intenzioni. È indubbio come i social abbiano dilatato tutto ciò, permettendoci di rendere le nostre reti sociali sempre più vaste, andando al di là dei legami forti.
Una consapevolezza che non nasce oggi. Era il 1973, quando il sociologo Mark Granovetter diede vita ad una ricerca atta a comprendere come le reti sociali erano in grado di influenzare la ricerca di lavoro. Ciò che ne derivò fu sorprendente: solo il 17% aveva trovato un impiego grazie all’intervento di amici o parenti. La maggioranza aveva invece contato sull’aiuto di conoscenti che vedeva e frequentava di rado (ex-colleghi, vecchi compagni di scuola, ecc).
Granovetter definì questo fenomeno come forza dei legami deboli. Una particolare tipologia di legami capace di svolgere una funzione d’intermediazione. L’elemento essenziale è che andando al di là delle proprie cerchie più strette (dove ognuno di noi ha medesimi stimoli e background) si può accedere ad informazioni e conoscenze nuove. I Social Network hanno il merito di rendere questi legami più saldi e fruibili.
Nascono così community peer to peer, composte da utenti che si connettono come persone ad altre persone. Network che riescono a dare supporto, conoscenza e senso di appartenenza. “Beni relazionali», beni intangibili ma che è possibile scambiare creando valore. Un moto perpetuo di share nel quale questo particolare tipo di capitale sociale (relazione, aiuto, credibilità) è impulso alla creazione e condivisione di altro valore condiviso.
Un capitale questo di cui gli influencer sono “portatori sani” e che li rende figura trasversale. Riescono così ad abbracciare utenti molto differenti tra loro, il cui grado d’importanza non è riconducibile solo ad una questione di audience.
L’ esposizione, seppur un elemento primario per un influencer, non è mai l’unica via percorribile. Non si vive di soli follower.